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L'eredità di "Testimoni Digitali"   versione testuale







Intervento di Mons. Domenico Pompili
La Rete “un nuovo contesto esistenziale”
Il digitale, comunque lo si voglia definire ipermediale o post-mediale, costituisce innegabilmente un “nuovo contesto esistenziale”. Così si esprimono al riguardo gli Orientamenti pastorali, pubblicati dalla CEI meno di un mese fa (28 ottobre 2010). Il n. 51 di “Educare alla vita buona del Vangelo” ci fa così definitivamente congedare da una visione strumentale e perfino solo ambientale, per convincerci che ormai abbiamo a che fare con una sorta di tessuto connettivo, di seconda pelle. Per questo non si tratta più solo di un “nuovo contesto”, come pure intuiva già nel 2004 il Direttorio (n. 170), evocando non senza un certo grado di previsionalità “le nuove frontiere della comunicazione” (nn. 169-176), perché ad essere in gioco qui è l’esistenza di ciascuno.
Il punto, dunque, non è più chiedersi come utilizziamo i media, ma come il “nuovo contesto esistenziale” ci sta impercettibilmente plasmando. Infatti, annotano sempre gli Orientamenti pastorali nel medesimo numero: “Agendo sul mondo vitale, i processi mediatici arrivano a dare forma alla realtà stessa. Essi intervengono in modo incisivo sull’esperienza delle persone e permettono un ampliamento delle potenzialità umane. Dall’influsso più o meno consapevole che esercitano, dipende in buona misura la percezione di noi stessi, degli altri e del mondo. Essi vanno considerati positivamente, senza pregiudizi, come delle risorse, pur richiedendo uno sguardo critico e un uso sapiente e responsabile”.
E’ questo insieme di risorse e di rischi, messo a tema nel convegno “Testimoni Digitali” del 22-24 aprile 2010, ha avviato un percorso di confronto e ancor prima di elaborazione, di cui oggi viviamo un altro momento in una sorta di ideale prosecuzione, resa necessaria dal fatto che i cambiamenti in corso non consentono pause e tantomeno posizioni di rendita.
Ora se il digitale è diventato il nostro humus, “abitare” è il modo di viverlo. Come scriveva Illich, in numerose lingue, ‘vivere’ è sinonimo di ‘abitare’. Chiedere ‘dove vivi?’ significa chiedere qual è il luogo dove la tua esistenza quotidiana forma il mondo. Dimmi come abiti e ti dirò chi sei, insomma. Questa equazione di abitare e vivere risale a tempi in cui il mondo era ancora abitabile e gli esseri umani erano abitanti. Abitare allora significava essere presenti nelle proprie tracce, lasciare che la vita quotidiana iscrivesse la trama della propria biografia nel paesaggio (cfr. I., Illich Nello specchio del passato, 1992: 53).
Interrogarsi sui modi di abitare il “continente digitale” significa che non è tanto il cambiamento tecnologico in sè, quanto il riflesso antropologico, il nostro modo di lasciare tracce nel paesaggio digitale che ci sta a cuore.
 
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